Re Ferdinando IV aveva un sogno, quello di creare una comunità autonoma costruendo nel territorio di San Leucio i suoi appartamenti reali, il giardino e l’annesso Museo della Seta, dove è possibile visitare i macchinari del Settecento con il quale si tesseva la seta, diventata famosa in tutto il mondo, tanto da arrivare ad arredare la Casa Bianca, Buckingham Palace e il Palazzo del Quirinale.
È una storia affascinante. Carlo di Borbone, consigliato dal ministro Tanucci, pensò di formare i giovani del luogo mandandoli in Francia ad apprendere l’arte della tessitura, per poi lavorare negli stabilimenti reali.
Nel 1778 venne così costituita, su progetto dell’architetto Collencini, una comunità nota come Real Colonia di San Leucio, basata su uno statuto che ne determinava regole e leggi.
Alle maestranze locali si aggiunsero anche quelle francesi, genovesi, piemontesi e messinesi che si stabilirono a San Leucio, in quanto venivano assegnate loro case e corsi di formazione, istituendo la prima scuola dell’obbligo femminile e maschile che includeva discipline professionali con 11 ore di lavoro.
Le case erano dotate di acqua corrente e servizi igienici. Le donne ricevevano una dote dal re per sposarsi con uno appartenente alla colonia. La donna e l’uomo godevano di una totale parità in un sistema di meritocrazia.
Nell’età dei lumi, era un esperimento sociale di assoluta avanguardia.
Ferdinando IV di Napoli aveva a cuore la colonia e progettò di allargarla anche per le nuove esigenze industriali dovute all’introduzione della trattura della seta e della manifattura dei veli, pensando di costruirvi la famosa Ferdinandopoli, costituita da una piazza centrale e un sistema stradale radiale, ma non vi riuscì.
La famiglia Crespi di Busto Arsizio, a cavallo tra l’Ottocento e Novecento quando in Italia nasceva l’industria moderna costruisce, lungo le rive dell’Adda nella provincia di Bergamo, una filatura di cotone con grandi reparti di tessitura e tintoria, assumendo grandiosi proporzioni e arrivando a dare occupazione a 4000 mila lavoratori, facendo nascere anche un villaggio di nome Crespi d’Adda.
Un’epoca in cui i grandi capitani d’industria illuminati, ispirati da una dottrina sociale, erano impegnati a tutelare la vita dei propri operai dentro e fuori la fabbrica, colmando la mancanza della legislatura dello stato.
Dopo le prime casette bifamiliari e le villette per i dirigenti, si pensò ai servi sociali collettivi dalla scuola, alla chiesa, all’ospedale, al dopolavoro, al teatro ecc.
L’esperimento si conclude alla fine degli anni Venti a causa dei mutamenti del XX secolo.
Il 5 dicembre del 1995, l’Unesco ha inserito Crespi d’Adda tra i siti del patrimonio mondiale della cultura per le sue caratteristiche ambientali e formali ritenute di eccezionale valore storico, urbanistico e sociale.
L’aspetto urbanistico è straordinario. La fabbrica è situata lungo il fiume accanto al castello della famiglia Crespi. Le case operaie, di ispirazione inglese, sono allineate a est della fabbrica lungo strade parallele; a sud si trovano un gruppo di villette per i dirigenti tra cui la casa del medico e del prete mentre la chiesa e la scuola dominano il villaggio.